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Il vino come strumento finanziario

Essendo appassionato di Vino e di Finanza, più volte ho trattato questo binomio in articoli, eventi e discussioni; noto quindi come negli ultimi anni questo argomento stia prendendo sempre più piede, anche se spesso però per i motivi sbagliati (soprattutto per moda) e non per quei pochi ma sensati motivi reali.

Quindi cercherò di rispondere almeno parzialmente a chi mi chiede: “se compro una bottiglia x, può essere un buon investimento”?


Sicuramente negli ultimi 30 anni questo prodotto ha attratto molto interesse, causando quella che a mio avviso è una bolla speculativa più legata allo status symbol che non alla reale presenza di cultori del vino.

Nel mercato del lusso le quotazioni sono aumentate vertiginosamente, al punto di arrivare a un attuale 2000% di variazione del valore di molte etichette tra quelle dei migliori produttori (e non a seguito di un aumento della qualità). Ciò però non significa che continuerà ad aumentare all’infinito, perché prima o poi le bolle scoppiano e quindi in primis, da potenziali investitori non dobbiamo incorrere nell’ingenuità di prendere come riferimento delle analisi storiche di un periodo eccezionalmente favorevole e pensare che la tendenza rimarrà invariata. 


Per gli appassionati di storia economica, il rimando immediato è la “Bolla dei bulbi di tulipano” in Olanda. Similmente al vino infatti, dal 1500 i tulipani avevano iniziato ad essere un elemento di moda e prestigio sociale, allontanandosi molto dalla loro semplice natura di piante ornamentali e dal valore tangibile di quel bene. L’avidità dell’uomo ha subito indotto al classico pensiero di speculazione, basato solo sulla semplice convinzione che il mercato sarebbe cresciuto ad oltranza. Fu nel 1657 che si raggiunse il picco della bolla, quando alcuni bulbi di tulipano arrivarono alla quotazione equivalente del valore di una casa, per poi crollare miseramente, trascinando in rovina gli ultimi speculatori.

 

Limiti

Per comprendere il mercato finanziario del vino è indispensabile capire che non è paragonabile ad altri mercati finanziari classici, per vari motivi.


È un bene materiale deperibile: ogni bottiglia ha una finestra di bevibilità limitata (che dipende da zona, annata, ecc) al termine della quale la bottiglia ha solo un valore collezionistico (svuotato del suo senso primario di alimento e gusto) e nel peggiore dei casi può essere difettata (TCA ed altri). La bottiglia necessita quindi di uno stoccaggio a determinate condizioni (di luce, umidità e temperatura controllata), il che implica costi semi-variabili di magazzino, di utenza, di assicurazione. Questo erode sensibilmente e annualmente la plusvalenza potenziale, contrariamente a quanto avviene con un altro prodotto finanziario (immateriale) il cui unico costo è di gestione o commissione.


È finanziariamente illiquido: contrariamente alla sua forma fisica, non è liquido, ovvero se lo si vuole vendere, non è scontato trovare chi lo vuole comprare a quel prezzo, e lo dico da venditore! Invece su un mercato con volumi di scambio elevati, in cui ogni unità (o azione) è uguale a sé stessa, è senza dubbio più facile liquidare un asset a prezzo di mercato (senza pagare costose spedizioni).


Vendere le bottiglie poi è complicato: dal momento in cui le etichette che garantiscono i migliori rendimenti sono spesso così elitarie da rendere improbabile la vendita da privato, si è costretti a piazzarle perlopiù in mercati d’asta (con commissioni medie del 15%), cui vanno sommati altri costi medi già citati, di circa 1% di assicurazione e 0,25 euro/mese per bottiglia (da moltiplicare per una giacenza media di 120 mesi).

Ciò rende evidente come per il singolo privato difficilmente può essere interessante comprare poche bottiglie nella speranza di rivenderle un domani (oltre alla difficoltà di gestire lo stock nel mentre).


Allora si potrebbero comprare poche bottiglie selezionate? Sì, ma se si sceglie il singolo produttore, non è diverso dal fare Stock Picking (designando una singola azione) e a quel punto i golosi rendimenti del vino sono comunque nettamente inferiori a quelli delle grandi Big Tech che hanno dominato i mercati finanziari degli ultimi decenni.


Chiunque abbia studiato la Modern Portfolio Theory di Markowitz (1952) o chi abbia qualche nozione di CAPM (Capital Asset Pricing Model), sa come il beta sia la misura del rischio sistematico. Aumentare il numero di prodotti selezionati non diminuisce il rischio sistematico ma riduce il rischio idiosincratico (volatilità) dell’asset.

Ciò dimostra come il discorso possa essere idealmente diverso per gli strumenti finanziari già internamente diversificati. Quindi sulla carta, un’azienda che vende prodotti finanziari potrebbe investire in migliaia di referenze, appoggiandosi a grandi società per la gestione dello stoccaggio. Migliorerebbe senza dubbio un aspetto dell’investimento ma purtroppo, anche in questo caso, i costi di gestione di questi fondi fagociterebbero una buona fetta del plusvalore.

 

Pregi

Fonte immagine: Liv-ex Fine Wine in rapporto ad alcuni dei principali indici azionari internazionali. Si noti come il vino sovra performa gli altri indici durante i periodi di crisi 2007-2011

 

Decorrelazione: studi empirici e analisi statistiche del Liv-Ex Fine Wine Index (indice che prende come riferimento la quotazione dei principali vini pregiati), comparati con FTSE 100 Index, US and UK Financial Indexes, Dow Jones Industrial Average e altri indici principali, mostrano che questo settore è decorrelato. Il suo essere un bene finanziario anticiclico (come l’oro o le utilities, per intenderci) comporta un potenziale interesse da parte degli investitori per operazioni di diversificazione di portafoglio, rendendo sensato il possesso di questo bene in quantità limitate da parte di chi è già proprietario di altri prodotti finanziari. In alcuni momenti ha più senso che in altri.


Prevedibilità: a differenza del modello stocastico che caratterizza i mercati azionari globali, influenzati da troppe variabili che rendono difficile la selezione di pochi titoli, il mercato del vino ha dimostrato come nel tempo i best performer sono stati gli stessi che erano considerati eccellenti produttori anche 30 anni fa. Si nota quindi come sia presente uno schema più chiaro di correlazione tra qualità e quotazione della singola etichetta, con una concentrazione nelle zone di Bordeaux, Borgogna, Rhone, California, Montalcino, Bolgheri, Barolo e Barbaresco. Attore fondamentale della valutazione di mercato è stata la critica internazionale del vino, comportando un rapporto causa-effetto sul prezzo. Ciò significa quindi migliore possibilità di prevedere il mercato per l’investitore (non senza notevoli asimmetrie informative) e un rapporto rendimento/rischio spesso superiore a quello della single stock.


Per quanto riguarda la gestione fiscale poi, vi sono considerazioni interessanti: per chi acquista un fondo di investimento sul vino, l’imposizione rimane uguale a quella di qualunque altro strumento finanziario (variando di paese in paese); ma per chi investe da privato, acquistando fisicamente le bottiglie, non vi è imposizione patrimoniale (così come per opere d’arte e gioielli), quindi almeno da questo lato, rimane più vantaggioso per chi possiede direttamente il bene, impattando non poco nell’efficienza generale.

 

Per concludere

Un interessante studio fu quello di Sokolin (1987), nel quale si ipotizzò un futures portfolio composto di Vintage 1982 (grande annata soprattutto in Bordeaux, zona che pesa per la maggior parte dei principali indici di quotazione del vino). Questo strumento sulla carta batte in rendimenti il DJIA e FTSE 100 con un ritorno attualizzato del 16,2%. Tuttavia la cosa cambia se consideriamo il ritorno nominale netto del 9,4% annuo - differenza importante - cui però vanno ancora dedotti costi di transazione, arrivando quindi a un 5,7% netto (in uno scenario di prezzo settato al di sotto della media) e al 8,4% netto (in uno scenario settato al massimo prezzo).


L’indice S&P500 (formato dalle 500 aziende statunitensi a maggior capitalizzazione) dall’anno della sua creazione (nel 1957) ad oggi ha generato un ritorno medio del 14%; dell’ 8,6% dal 2000 al 2021. Il Dow Jones invece si attesta sul 10,59% tra il 2010 e il 2020. Ovviamente andrebbero fatti approfondimenti sul confronto del rischio e del drawdown. In merito a quest’ultimo punto va detto che la tendenza del vino a limitare i crolli di valore l’ha reso nel tempo un bene rifugio per alcuni ma la sua probabilità di rimanere tale è inversamente proporzionale al suo allontanamento dal suo valore intrinseco.


Si è visto quindi come contrariamente a quanto molti vogliono far credere, la sensatezza di un acquisto in vino come strumento finanziario è limitata in termini di rendimenti ma potenzialmente interessante per chi sia già ben presente sui principali mercati e voglia diversificare ulteriormente.


“Alla peggio te lo puoi bere”. Ciò non toglie infatti che per un appassionato il senso di acquisto di vini pregiati aumenta, quanto meno perché nella peggiore delle ipotesi, se non riesce a venderlo o se il valore cala, può consumarlo per ciò che è: un semplice vino.


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